Tra i temi al centro del dibattuto sul mercato del lavoro spicca sicuramente lo smart working e il telelavoro: dopo l’iniziativi di Twitter, infatti, queste modalità di lavoro diventano una ipotesi attuabile da parte di molte aziende. Dal momento che ormai siamo tutti abbastanza certi che questa sarà la direzione verso cui si muoveranno molte aziende, comprendiamone meglio gli ambiti di intervento.

Lavoro agile e lavoro a domicilio

Smart working e telelavoro: due istituti diversi, normati da leggi diverse. Lo smart working è definito dalla Legge n. 81/2017, mentre il telelavoro dalla Legge n. 877/1973.
Nella realtà, però, le due norme descrivono lo stesso fenomeno. In linea di principio, si tende a pensare che il telelavoro preveda orari e luoghi di lavoro fissi e lo smart working una maggiore flessibilità ma nella sostanza, la vera differenza è che il telelavoro è svolto sempre fuori dai locali aziendali, mentre lo smart working è svolto in parte fuori, in parte nei locali aziendali.

Cos’è?

In sintesi, significa che un lavoratore svolge la propria attività anche a distanza. Può farlo da casa, ma anche altrove, senza una postazione fissa e senza precisi vincoli di orario. Un altro elemento di flessibilità è che il suo lavoro può essere misurato anche con il raggiungimento di alcuni obiettivi.

Retribuzione, ferie e altri diritti

La Legge n. 81/2017 parla chiaro: lo smart worker non può essere pagato meno rispetto a un collega che lavora in sede. E non ha meno diritti. Uguali sono anche le opportunità di crescita professionale: anche agli smart worker può essere riconosciuto il diritto all’apprendimento permanente e alla certificazione delle competenze acquisite.

Orari di lavoro

Anche in questo caso non c’è una regola. Dipende molto dal lavoro che si svolge: ci sono professioni in cui il lavoratore ha ampi margini di manovra e non ha davvero orari. Per i lavori che si svolgono in gruppo e che richiedono un costante coordinamento con i colleghi il discorso cambia e l’azienda può anche stabilire delle fasce orarie. Altre ancora stabiliscono ai lavoratori agili gli stessi orari dei colleghi in azienda, soprattutto quando le persone che sono fuori devono relazionarsi con quelle che sono in ufficio. Tutto questo entro i limiti imposti dalla legge e dalle contrattazioni collettive.

Il diritto alla disconnessione

È un tema strettamente legato a quello dell’orario di lavoro. Lavorare a distanza, infatti, comporta un rischio collaterale che molti italiani hanno sperimentato durante il lockdown: l’assenza di un confine tra tempo libero e orario di lavoro, con e-mail e messaggi a tutte le ore da parte di capi e colleghi.
Di diritto alla disconnessione, che in sostanza coincide con la libertà di potersi rendere irreperibile,
parla anche la Legge n. 81/2017 rimandando però, ancora una volta, agli accordi individuali o collettivi per l’adozione di misure tecniche e organizzative necessarie ad assicurarlo.

Controllo

Se non c’è il cartellino, se non c’è la presenza fisica in ufficio, in che modo il datore di lavoro può verificare che il dipendente svolga la sua attività e il modo in cui la svolge? La Legge n. 81/2017 delega prioritariamente questa materia agli accordi sindacali. Di certo gli strumenti di controllo non mancano.

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